Oggi, 25 marzo, è il Dantedì, il giorno dedicato a Dante Alighieri!
Per questo io voglio parlarvi di...Giovanni Pascoli!
(sento qualcuno che bisbiglia: ecco, l'età inizia a colpire anche i suoi neuroni!)
No, non sono impazzito, e so ancora distinguere un fiorentino in gonnella e guarnacca da da un romagnolo in giacca e paglietta!
Però Pascoli si è occupato lungamente di Dante e ha scritto ben tre volumi di analisi della Commedia: Minerva Oscura, Sotto il velame, La mirabile visione. Ma furono tanto mal recepiti dalla critica che il quarto volume previsto non venne mai pubblicato. E questo spiega perché molti non sanno che Pascoli si è occupato di Dante!
C'è però un altro bel collegamento con Dante, che Pascoli stesso esplicitò in una poesia pubblicata nel 1910 commemorativa del passaggio della Cometa di Halley in quei giorni. E la stessa cometa era apparsa anche a Dante e Giotto (che la raffigura nella cappella degli Scrovegni) nel 1301!
Da qui l'idea per un'ode!
L'Ode alla cometa di Halley, tra terzine dantesche e citazioni dalla Commedia, è cupa e misteriosa, permeata di quel simbolismo pascoliano che era anche la sua chiave di lettura della Commedia, e ci mostra Dante, definito "il pellegrino del Mistero" fronteggiare, in rappresentanza dell'Umanità, la cometa stessa, che rappresenta il male, il peccato. Quello stesso male che Pascoli aveva purtroppo conosciuto da bambino e che vedeva pervadere questo nostro "atomo opaco del male".
Ma la grandezza di Dante, e dell'Uomo come essere pensante, si erge di fronte all'astro, che minaccia di distruggere la terra. Meravigliosi sono i versi in cui Dante afferma la sua eternità, che è l'eternità del frutto dell'opera intellettuale dell'Uomo.
Dante era l’uomo. E tu dicevi:- Io posso
spezzarti, o Terra. E niuno saprà mai
che v’era un globo, ora da me percosso,
nei freddi cieli. Ti disperderai
come una grigia nuvola d’incenso,
o nera terra! E tu, Ombra, che stai?-
Stava. Egli solo nello spazio immenso
stava a te contro, a guardia degli umani,
astro di morte. -Io mi son un che penso-
egli diceva – e sempre è il mio domani-.
Poi, quasi in stile 2001 Odissea nello spazio (forse visto il tema astronomico, a me è venuto in mente il finale del film di Kubrick)), la poesia termina in modo enigmatico, e con quattro versi bellissimi ed oscuri:
Negli occhi aperti, accese appena e spente
morian le stelle. E Dante fu nessuno
Terra non più, Cielo non più, ma il Niente
Il Niente o il Tutto: un raggio, un punto, l’Uno.
E il Mistero di queste parole lo può sciogliere forse solo l'intuizione, così cara a Pascoli, di ciascuno di noi, più che una attenta e logica analisi.
Buon Dantedì a tutti!
Ecco tutta la poesia, in terzine dantesche incatenate e caudate ogni 4 terzine:
Ode alla cometa di Halley
I
O tu stella randagia, astro disperso, che forse cerchi, nel tuo folle andare, la porta onde fuggir dall’universo!
Le stelle, quando la tua face appare,
impallidiscono; ansa nei pianeti
l’intimo fuoco, alto s’impenna il mare.
Escono le sibille dai segreti
antri d’Urano. In riva dei canali
di Marte, in pianto, passano i profeti.
Pieno di pianto è il cielo dei mortali figli del Sole; e sangue rosso piove nella penombra, a man a man che sali,
degli astri attorno al semispento Giove.
II O tu, ricordi questa terra nera? Valgono appena otto anni tuoi, da quando tu lo vedesti, in una cupa sera,
un della Terra. Andava solo, errando, senza speranza, col bordone in mano, ma senza meta, dalla patria in bando
e da sè stesso: e nel cammin suo vano ei s’arrestava, mentre l’ombra queta calava, udendo un mesto suon lontano.
E dagli abissi uscita allor, Cometa, tu fiammeggiavi lunga all’orizzonte. Udiva il suon lontano di compieta,
che par che pianga. E lo toccasti in fronte.
III Le stelle impallidirono. Non v’era altro che te nel cupo cielo esangue che tu sferzavi con la tua criniera.
Tra i pianeti e i soli, eri com’angue che uccide e passa. A questa nera Terra dicevi il tristo ribollir del sangue,
l’ombre vaganti, i gridi di sotterra, tutti gli affanni, tutte le sventure, tutti i delitti: incendi, stragi, guerra.
All’uomo, dietro le montagne oscure e gl’irti rocchi, tu mostravi un luogo: la sua città. Razzavi come scure
e fumigavi lenta come un rogo.
IV Egli guardò. Non vide che una selva oscura, e sopra il sonno delle genti del mondo reo sentì latrar la belva.
Vide l’abisso con racchiusi i venti, le fiamme e il gelo, e la perpetua romba delle grandi acque, e lo stridor dei denti.
Udì l’alto silenzio che rimbomba eternamente; e il lume del sentiero scorse, ch’è tra le stelle e la gran tomba.
Egli era il peregrino del Mistero. E tu la morte gli accennasti, ed esso la vide, e l’abbracciò col suo pensiero,
e sì l’uccise nel potente amplesso.
V Ma tu sdegnosa ti spargevi avanti, torva Cometa, in un diluvio rosso le miche accese d’altri mondi infranti.
Dante era l’uomo. E tu dicevi:- Io posso spezzarti, o Terra. E niuno saprà mai che v’era un globo, ora da me percosso,
nei freddi cieli. Ti disperderai come una grigia nuvola d’incenso, o nera terra! E tu, Ombra, che stai?-
Stava. Egli solo nello spazio immenso stava a te contro, a guardia degli umani, astro di morte. -Io mi son un che penso-
egli diceva – e sempre è il mio domani-.
VI Tu gli solcasti della tua minaccia la dura fronte; e il pensator terreno le mani aperse ed allargò le braccia.
E immobilmente ascese tra il baleno delle tue scheggie, ascese senza fine, come in un plenilunio sereno.
Gli si frangean, col croscio di ruine, bolidi intorno; in polvere lucente ridotto il cosmo gli piovea sul crine.
Negli occhi aperti, accese appena e spente morian le stelle. E Dante fu nessuno Terra non più, Cielo non più, ma il Niente
Il Niente o il Tutto: un raggio, un punto, l’Uno.
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